Abbiamo ritrovato la Nazionale, e la cosa si fa divertente

23.06.2021
L'idea che si era creata intorno alla Nazionale è che fosse brava e carina, ma non abbastanza cazzara e brillante; che mancasse quel tocco di genialità, follia e furbizia che da sempre ci attribuiamo in quanto italiani.
L'idea che si era creata intorno alla Nazionale è che fosse brava e carina, ma non abbastanza cazzara e brillante; che mancasse quel tocco di genialità, follia e furbizia che da sempre ci attribuiamo in quanto italiani.

La verità è che nessuno ci ha creduto davvero finché non l'ha vista in campo questa squadra. I risultati della rivoluzione tattica iniziata da Mancini nel 2018 erano evidenti già nelle amichevoli, nelle partite di Nations League e durante il primo turno di qualificazioni al mondiale 2022.

Ma lo scetticismo che in questo Paese accompagna la nazionale fino a quando non inizia a giocare "sul serio" è duro a morire, e anche a questo giro non è mancato. Innanzitutto perché, com'è ovvio che sia, in questi mesi si è giocato contro squadre molto abbordabili, e quindi secondo molti si è esaltata troppo una squadra che ancora non ha affrontato vere sfide.

Poi c'è sempre qualcuno che non convince. Le punte fanno pochi gol (Belotti e Immobile, che nel frattempo ha vinto una scarpa d'oro); gli esterni sono o fumosi e caotici (vedi Chiesa e Berardi, 26 gol in due e caterve di assist) oppure prevedibili e fragili mentalmente (Insigne, capitano del Napoli, 19 gol quest'anno); i centrocampisti sono forti ma sopravvalutati (Verratti leader del PSG, Jorginho vice-capitano del Chelsea, Barella perno fondamentale dell'Inter, tutti sopravvalutati); la difesa è troppo giovane (Bastoni) o troppo vecchia (Bonucci e Chiellini); il portiere è un mercenario. In fondo anche Mancini, nonostante un curriculum da allenatore di tutto rispetto, è guardato con freddezza, non rientra nei canoni del ct italiano: non ha il sigaro beffardo di Lippi, l'isteria esaltata ed esaltante di Conte, e neppure i modi spicci e contadini del Trap, icona nazional-popolare che mette sempre d'accordo gli italiani.

C'è anche il tema della scelta di gioco, propositivo, basato sui criteri del gioco di posizione, con impostazione dal basso, fraseggi composti a centrocampo, triangolazioni palla a terra; insomma l'esatto contrario del dogma italico catenaccio, palla lunga e pedalare.

Ma ciò che davvero alleggiava su questa squadra era un'altra forma di scetticismo, più intangibile, e che forse riassume un po' il mito di italianità che da sempre ci ricamiamo addosso. In questa squadra, apparentemente, non ci sono scarpari grintosi e cattivi (Gentile, Gattuso), non ci sono leader dritti ed eleganti (Maldini, Baresi, Nesta), non ci sono attaccanti scoordinati ma cinici ed efficaci (Inzaghi, Schillaci) e soprattutto, nonostante i giocatori siano tutti molto tecnici, "non c'è un vero numero 10" (e qui l'elenco è infinito, Rivera, Baggio, Totti, Zola, Del Piero): mancano insomma le figure topiche del calcio all'italiana. L'idea che si era creata intorno alla Nazionale è che fosse brava e carina, ma non abbastanza cazzara e brillante; che mancasse quel tocco di genialità, follia e furbizia che da sempre ci attribuiamo in quanto italiani.

Invece ecco una Nazionale che fa le cose per bene, con ordine, che vuole fare gol dopo venti passaggi in cui tutti toccano il pallone, dove nessuno è insostituibile (in tre partite sono già entrati in campo 25 giocatori su 26 convocati), che non sfanga le partite buttandola dentro all'ultimo secondo dopo aver passato 90 minuti in difesa. Poco italiana, troppo precisa ed educata, quasi antipatica.


Poi però inizia il torneo e cambia tutto. Spinazzola inizia a sgroppare sulla fascia; Jorginho prende il mano il centrocampo, tocca duemila palloni e non ne perde uno; Insigne fa o tir a gir; Berardi impara a giocare anche col destro; Immobile fa due gol in due partite; Barella è semplicemente ovunque; Chiesa è una scarica elettrica perpetua; Bastoni massacra fisicamente e mentalmente Gareth Bale; Locatelli tira le bombe da fuori area, e Mancini, algido e incravattato, sfodera un colpo di tacco direttamente dai suoi trent'anni.

È una squadra divertente e divertita, meno ingessata e scolastica di quanto si pensasse, capace di fare densità di gioco a sinistra, dove Jorginho, Insigne e Locatelli (o Verratti) costruiscono continuamente, trovando sempre l'imbucata per Spinazzola e Immobile; ma altrettanto riescono a fare a destra, andando su dritti e verticali, sfruttando il dinamismo di Barella e Pessina e i dribbling di Chiesa e Berardi.


Il 4-3-3 di partenza è relativo, si trasforma in 3-4-3 quando il terzino di sinistra sale (Spinazzola con grande forza, Palmieri un po' meno), offrendo un ottimo sbocco per Insigne, che rientra spesso in mezzo al campo per giocare con Locatelli e Jorginho. Nelle prime partite quella sinistra è stata infatti la fascia "paziente", dove i giocatori più tecnici ricamavano il gioco palla a terra, e ancora di più lo sarà se Verratti dovesse riprendersi la maglia da titolare. Tuttavia, senza la spinta di Spinazzola e i tiri da fuori di Locatelli il gioco rischia di perdere velocità e diventare un palleggio troppo orizzontale e prevedibile. Proprio Spinazzola e Locatelli infatti sono stati i migliori in campo contro Turchia e Svizzera, sfondando a più riprese le difese avversarie.

Dall'altro lato del campo l'atletismo richiesto è maggiore, soprattutto perché il terzino di destra si sovrappone poco (Di Lorenzo attacca spesso, ma Toloi e Florenzi si occupano principalmente di coprire, stringendo verso i centrali più che allargandosi in fascia) e questo fa sì che lo spazio da coprire sia molto, amplificando l'importanza di Barella. Il centrocampista dell'Inter dimostra da anni una propensione al sacrificio da maratoneta, e nelle prime due partite lo si è visto correre continuamente, offrendo un appoggio sicuro ai compagni sia nella propria metacampo che in quella avversaria. Ma non è solo quantità la sua: Barella riceve spesso palloni poco "giocabili", proprio perché utilizzato come appoggio ubiquo su tutto il lato destro del campo, ma ha la nascosta capacità di fare scelte lucide e rapide ogni volta, smistando palloni che diventano occasioni da gol.

Come lo si mescoli, il centrocampo azzurro dà tante soddisfazioni: Verratti, finalmente in campo contro il Galles, ha fatto una partita magistrale, dribblando sotto pressione, scendendo in mediana ad impostare, procurando l'assist per l'1-0, tirando fuori una personalità mostruosa dopo un solo mese dall'infortunio. Jorginho, campione d'Europa col Chelsea, si è tolto l'immagine di giocatore "che fa passaggi a un metro", è sempre smarcato in mezzo agli avversari, riceve spalle alla porta e detta i tempi della costruzione bassa senza quasi sudare, regalandosi ogni tanto qualche incursione pirata nell'area avversaria. Pessina, sostituendo Barella, non l'ha fatto rimpiangere, segnando il gol della vittoria nell'ultima partita e buttandosi in area più volte come un attaccante aggiunto. Non è un caso che dei sette gol segnati fin'ora, tre siano di centrocampisti, Locatelli e Pessina, i quali tra l'altro fino a un mese fa erano riserve.


Ma i segnali positivi arrivano anche dal tridente offensivo. Nessuno aveva dubbi sulla qualità di Insigne, soprattutto dopo l'ultima stagione in campionato, ma è stato comunque bello vedergli fare gol "alla Insigne".

Immobile ha ricordato a tutti di essere un attaccante completo, capace sia di buttarla dentro di rapina nell'area piccola, sia di segnare da venticinque metri. In particolare, il gol contro la Svizzera è arrivato all'89esimo minuto, in un momento in cui di solito la punta della Lazio, dopo aver fatto pressing per novanta minuti e aver consumato la batteria, manca della freddezza del centravanti puro.

Altrettanto ha dimostrato Berardi, dopo la miglior stagione in carriera, artefice dei primi gol dell'Italia sia contro la Turchia che contro la Svizzera, secondo un pattern inaspettato: invece di rientrare sul sinistro, in entrambe le occasioni si è buttato in velocità sul fondo, puntando l'uomo a destra e mettendo il pallone al centro dell'area col piede debole.

Contro il Galles l'attaccante più in forma è sembrato Chiesa, riposizionato a destra, che dopo una stagione straordinaria alla Juventus, ha riportato in Nazionale il suo repertorio: strappi brucianti a testa bassa, dribbling a scavalcare, letteralmente, l'avversario, fotta agonistica fino all'ultimo minuto di partita. Se Berardi e Insigne sono tecnica raffinata e razionalità, Chiesa è istintività grezza.


In difesa è sembrato fiacco Bonucci, come lo sembra ormai da tempo, ma Chiellini, Acerbi, Toloi e Bastoni aggiungono fisicità e danno sicurezza, nonostante siano tutti cresciuti nella difesa a tre. Dei tre reparti, quello arretrato resta comunque una mezza incognita, perché sia in fase di copertura sia in fase di impostazione la difesa azzurra, fin'ora eccellente, ha dovuto faticare poco in queste prime partite, contro squadre che attaccavano poco e pressavano pochissimo, ma d'altronde se si guarda alle altre grandi favorite (Francia, Germania, Portogallo, Belgio, Olanda) l'Italia è l'unica, con l'Inghilterra (che però ha segnato due sole reti in tre partite) a non aver ancora subito gol. Questo anche grazie alla concentrazione di Donnarumma, che le rarissime volte che è stato chiamato in causa si è fatto trovare pronto.


Non sappiamo quanto questa favola andrà avanti, è probabile che vincendo il girone sia stata imboccata una strada ardua, che potrebbe vedere gli Azzurri affrontare Austria, Belgio e Francia, per quanto queste previsioni vadano prese con le pinze. Ma le considerazioni fino ad ora sono due: innanzitutto la squadra è brillante, vivace e intercambiabile, i ragazzi provengono quasi tutti dal loro miglior anno in carriera, e sono sembrati inventivi, affamati e compatti. Non ci sono riserve, il gioco non si regge sull'estro di pochi campioni ma si corre tanto, si cerca il gol anche nei minuti di recupero, si festeggia correndo verso la panchina, senza fare balletti davanti alle telecamere, e in campo si vede tanta, tanta qualità, diffusa in tutti i reparti.

L'altro aspetto è che dopo il disastro del 2018 si è chiesto a gran voce un cambio di rotta, l'inizio di un progetto stabile che ridesse dignità al calcio italiano. Questa prima competizione, dopo cinque lunghi anni di assenza, se anche non dovesse concludersi sulle stelle, ha sicuramente dimostrato che siamo usciti dalle stalle.


                                                                                              di Eugenio Chemello e Tommaso Aiello


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